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Italian to Serbian: Traduzione del libro di Claudia Porta "Giochi con me?" General field: Art/Literary Detailed field: Art, Arts & Crafts, Painting
Source text - Italian I
L’importanza del gioco
Come è possibile che, essendo i bambini così intelligenti, la maggior parte degli adulti siano stupidi? Questo è senz’altro dovuto all’educazione.
A. Dumas
Da bambini, tutti sappiamo giocare. Crescendo però smettiamo gradual-mente di farlo per poi accorgerci, di fronte ai nostri figli, che non ne siamo più capaci.
Spesso il gioco viene sostituito da sport competitivi che, per quanto si chiamino giochi (si dice infatti “giocare” a tennis o a golf) non hanno l’aspetto libero, spontaneo e creativo del gioco nella sua accezione pri-maria. Smettendo di giocare per tanto tempo dimentichiamo come si fa e abbiamo poi difficoltà a connetterci con i nostri figli. Giocare non è più spontaneo. Dobbiamo decidere di giocare, impegnarci e a volte anche sforzarci.1
Questo processo viene sempre più spesso anticipato e il tempo per il gioco si riduce sensibilmente fin dalla più tenera età, e così ecco che invece di scendere a giocare in cortile il bambino va a giocare a calcio, a tennis o a lezione di musica. Tutte attività piene di significato, ma che non devono assolutamente sostituirsi al gioco. Si tenga poi a mente che il concetto di gioco educativo è un’invenzione degli esperti di marketing: il gioco è di per sé educativo. Il gioco è il modo migliore che i bambini hanno per impa-rare, sperimentando direttamente tutto quello che c’è da sapere nella vita.
1 Lawrence J. Cohen, Playful Parenting, Ballantine Books, 2002.
1 - L’importanza del gioco 13
Sostituendo il gioco libero e spontaneo con attività strutturate e mirate a uno scopo (vincere, seguire le regole, ecc) si priva il bambino del piacere di giocare e si inculca in lui una dose eccessiva (e non sana) di competitività.
Spesso sentiamo dire che i bambini esternano, attraverso il gioco, la propria aggressività. Questo è senz’altro vero, ma non è tutto. Quando gio-cano, i bambini esprimono una vasta gamma di emozioni che sarebbero incapaci di trasmettere verbalmente.
Nel suo libro, Donald Winnicott parla delle emozioni negative espresse attraverso il gioco:
Tutti i bambini provano rabbia e, di conseguenza, aggressività. Questi sentimenti sono classificati come “cattivi”. Il bambino che si rende con-to di avere in sé qualcosa di cattivo può sentirsi “sporco”, colpevole. Sa-pere che tali sentimenti possono essere espressi, a certe condizioni (ad esempio attraverso il gioco) senza provocare risentimento e violenza nei suoi confronti, è rassicurante per il bambino. Sapere che certi sentimenti sono accettabili allevia il senso di colpa.
Se il bambino non si sente accettato nella sua totalità, comprese le sue inevitabili zone d’ombra, si sentirà obbligato a fingere, a reprimere, a nascondere, a negare i suoi stessi sentimenti, con conseguenze disastro-se sulla sua personalità e sul suo equilibrio psichico.2
Attraverso il gioco i bambini imparano anche a gestire pensieri e si-tuazioni che sono per loro fonte di stress. Il fatto di ribaltare la situazione a loro piacimento e di assumere il controllo (cosa che non sempre è pos-sibile nella realtà) permette loro di elaborare e di controllare l’ansia e la frustrazione legate alla sensazione di impotenza. Questo aspetto è, secondo Winnicott, molto importante perché se ci rendiamo conto che i bambini non giocano per divertimento ma per ragioni molto più importanti, più serie e profonde, comprendiamo che non è possibile privarli di questa attività sen-za procurare un disagio. Attraverso il gioco, il bambino scopre, sperimenta, impara. Il gioco è l’espressione palese della creatività, e la creatività è il succo della vita stessa. Il nostro compito è quello di prendere il gioco sul serio, riconoscendone l’importanza e condividendo con i nostri figli i gio-chi classici, cercando di non condizionarli troppo con i nostri interventi.
2 D. Winnicott, The Child, the Family and the Outside World, Addison-Wesley Pub. Co., 1964.
14 Giochi con me?
Possiamo stimolare le loro esperienze fornendo materiali e idee ma pare, in questo campo, che sia meglio offrire poco piuttosto che troppo in questo senso. I bambini, infatti, sono in grado di scovare oggetti inte-ressanti e di inventare giochi con grande facilità.3
Nel suo libro Un genitore quasi perfetto4 Bruno Bettelheim sostiene che il bambino, attraverso il gioco, tenti in qualche modo di “curarsi”, di com-pensare ciò che gli manca. Occupandosi con tenerezza del suo bambolotto, esprime ciò che vorrebbe dai genitori. Picchiando l’orsetto di pezza, può esteriorizzare la gelosia nei confronti del fratellino che, se repressa, po-trebbe diventare un peso troppo grande. Per questo è importante tentare di comprendere eventuali comportamenti aggressivi prima di etichettarli come inaccettabili. Se permettono di canalizzare un sentimento troppo for-te, potrebbero invece rivelarsi benefici.
Attraverso il gioco, i bambini interagiscono con gli altri. È così facile farsi degli amici (o dei nemici) mentre si gioca. Ben più difficile è riuscirci in un contesto diverso. Da ultimo, ma non meno importante, il gioco crea un ponte tra il corpo e la mente. Proprio come le numerose tecniche mil-lenarie (primo fra tutti lo yoga) attraverso le quali noi adulti cerchiamo di connettere queste due entità. Il gioco è il legame tra il mondo interiore e il mondo esterno. Fa parte del bambino ma si estende anche al di fuori. Gli permette di comunicare e di connettersi con gli altri. Attraverso il gioco, il bambino raccoglie oggetti e fenomeni provenienti dal mondo esterno e li rielabora nel proprio personale mondo interiore.
Winnicott praticava già, ai suoi tempi, quella che oggi chiamiamo la gioco-terapia (play-therapy). Attraverso il gioco il terapista cerca di co-municare con il bambino. Sapendo che questi non possiede la padronanza del linguaggio necessaria ad esprimere concetti così sottili e complessi, il terapista trova nel gioco le risposte a ciò che cerca.
È opportuno tener presente come il gioco sia già in sé una terapia. Fare in modo che i bambini possano giocare è una forma di psicoterapia, che avrà effetti immediati e universalmente applicabili. A cominciare da un atteggiamento sociale positivo nei confronti del gioco.
3 Ibidem.
4 Bruno Bettelheim, Un genitore quasi perfetto, Feltrinelli, 2009.
1 - L’importanza del gioco 15
Chi accudisce i bambini dovrebbe essere presente durante il gioco. Que-sto non significa che debba entrarvi. Quando c’è bisogno di un organiz-zatore esterno che diriga il gioco, significa che il bambino o i bambini non sono in grado di giocare in modo creativo.5
Ma Winnicott non si limita ad affermare che il gioco sia una vera e propria terapia. Il paragone è valido, secondo lui, anche nell’altro senso. Anche la psicoterapia nella sua accezione più classica sarebbe, in fondo, una sorta di gioco.
Se il terapista non è in grado di giocare, allora non è adatto a questo la-voro. Se il paziente non è in grado di giocare, occorre un intervento che gli permetta di riuscirvi. Solo a quel punto la psicoterapia può iniziare. Il motivo per cui il gioco è essenziale è che attraverso il gioco il pazien-te riesce ad essere creativo.[…] È nel gioco e solo nel gioco che l’indi-viduo (adulto o bambino) è in grado di essere creativo e di utilizzare la sua intera personalità. Ed è solo attraverso la creatività che l’individuo scopre il proprio sé.6
Secondo John Holt, considerato il “padre” della scuola familiare (Ho-meschooling) negli Stati Uniti, gioco, poesia, musica, recitazione e arte in generale sono tanti modi diversi che il bambino utilizza per esplorare il mondo. I bambini che sanno giocare in modo creativo sono quelli che riu-sciranno meglio a imparare e ad affrontare le sorprese e le frustrazioni della vita di tutti i giorni.
Dobbiamo resistere alla tentazione di pensare che questa parte della vita dei nostri bambini [il gioco] sia meno importante delle attività “serie”
– lettura, scrittura, compiti o qualsiasi altra cosa noi vogliamo che fac-ciano […]. Saper giocare bene è importante quanto saper leggere bene. Del resto, se li osservassimo con molta attenzione scopriremmo che i bambini che non sanno giocare, sognare, fantasticare, non sono in gene-re nemmeno i più bravi a leggere.7
5 Donald Winnicott, The Child…, cit
6 Ibidem.
7 John Holt, How Children Learn, Dell Pub. Co., 1972.
16 Giochi con me?
Holt sostiene inoltre che, contrariamente a ciò che molti credono, la fan-tasia non porta il bambino ad allontanarsi dal mondo reale. Al contrario, nei giochi di fantasia (almeno finché il bambino è libero da condizionamenti imposti dalla tv e dai videogiochi) il bambino imita le azioni quotidiane dei suoi genitori, amici e familiari e le esperienze vissute, passando in genere dal ruolo di spettatore a quello di protagonista.
Nel suo How Children Learn Holt paragona la realtà a un puzzle, di cui i bambini posseggono solo un numero limitato di pezzi. Con così pochi pezzi, un adulto non tenterebbe nemmeno di comporre il puzzle. Il bambi-no invece, dotato di grande curiosità, determinazione, energia e soprattutto pazienza, tenta l’impresa impossibile. Per sostituire i pezzi mancanti, uti-lizza l’immaginazione. Questo fa sì che ne risulti un’immagine del mondo probabilmente poco fedele, ma si tratta di una ricerca della realtà e non di una fuga dalla stessa.
Il discorso ovviamente è diverso se il bambino, in seguito a esperienze traumatiche, si rifugia in un mondo immaginario nel quale si sente al sicuro.
Giocare è dedicarsi a un’attività per divertirsi, per ricavarne piacere. Il gioco non ha altro fine che se stesso: il bambino gioca per giocare. Se nel frattempo apprende qualcosa, si tratta di un “effetto collaterale” e non del suo scopo primario. Ciò non toglie che il gioco permetta al bam-bino di scoprire molte cose. Attraverso questa attività che si perpetua di generazione in generazione, il bambino acquisisce le regole, i costumi e i valori propri dell’ambiente in cui vive. Il bambino scopre se stesso e il mondo nel quale vive.8
Di più, attraverso il gioco il bambino scopre il piacere di imparare. Que-sta visione gli sarà utile per il resto della sua vita e gli permetterà di diven-tare una persona aperta e curiosa, desiderosa di scoprire, sperimentare, ac-quisire nuove conoscenze. Senz’altro un dono inestimabile durante gli anni della scuola. Attraverso il gioco il bambino apprende inoltre molti concetti logici che sarebbero per lui troppo complessi se affrontati in altro modo.
Quando gioca, il bambino assume il controllo della situazione. Si sente capace e competente. Questo è per lui fonte di gratificazione e contribuisce
8 Francine Ferland, Et si on jouait?, Hopital Ste-Justine, 2005.
1 - L’importanza del gioco 17
a rinforzare la sua autostima. Ma il gioco permette anche di sperimentare il fallimento in un contesto in cui le conseguenze saranno minime. Quando la torre crolla, il bambino può essere deluso e imparerà ad affrontare la fru-strazione in un contesto protetto. Poi deciderà liberamente se ricominciare o passare a un’altra attività.
Il gioco è anche una forma di comunicazione. Attribuendo ai vari perso-naggi questa o quella emozione, il bambino esprime quelle che sono le sue. Un modo per esprimere e condividere ciò che prova. Del resto è frequente che il bambino, giocando, parli da solo. È per lui l’occasione di praticare le abilità verbali, spiegando ai suoi giocattoli ciò che sta facendo, ciò che sta succedendo. Questo esercizio linguistico favorisce l’acquisizione di nuovi termini. L’apprendimento della lingua diventa così più rapido e assume una connotazione ludica.
Il gioco è anche il primo passo verso la socializzazione. Il bambino im-para a condividere, a comunicare, a rispettare le regole, ad aspettare il pro-prio turno. Giocare è una cosa seria. Quando interrompete il vostro bambi-no che sta giocando perché è ora di uscire o di mettersi a tavola, non state dando sufficiente importanza alla sua attività. È come se lui vi interrom-pesse mentre lavorate. È possibile mostrare rispetto per le sue attività senza per questo lasciarsi “calpestare”. Basterà prepararlo con un po’ di anticipo, perché possa organizzarsi in modo adeguato.
Translation - Serbian I
Značaj igre
Kako je moguće da je većina odraslih glupa kada su deca tako pametna? To je nesumnjivo posledica vaspitanja.
Aleksandar Dima
Dok smo mali, svi znamo da se igramo. Rastući, postepeno prestajemo da se igramo da bismo jednog dana shvatili, suočeni sa sopstvenom decom, da uopšte više nismo sposobni da to radimo.
Često igra bude zamenjena takmičarskim sportovima koji, iako se zovu igra (kaže se igrati tenis ili golf), nemaju slobodu, spontanost i kreativnost igre u njenom osnovnom značenju. Kada se dugo ne igramo, zaboravljamo kako se to radi i kasnije imamo poteškoće u povezivanju sa našom decom. Igranje više nije spontano. Moramo da odlučimo da se igramo, da se potrudimo, a ponekad i da se napregnemo .
Početak ovog procesa stalno se pomera sve više unapred i vreme za igru značajnose smanjuje već od najranijeg uzrasta: tako dete umesto da siđe da se igra u dvorištu, ide da igra fudbal, tenis ili odlazi na časove muzike. Sve ove aktivnosti su veoma smislene, ali nipošto ne treba da zamene igru. Osim toga, treba imati na umu da su koncept edukativne igre izmislili stručnjaci za marketing: igranje je edukativno po sebi. Igra je najbolji način koji deca imaju za učenje, isprobavajući direktno sve ono što treba da nauče o životu.
Zamenjujući slobodnu i spontanu igru aktivnostima koje su strukturirane i imaju određeni cilj (pobediti, poštovati pravila, i sl.), detetu se uskraćuje zadovoljstvo igranja i uliva mu se preterana (i nezdrava) doza kompetitivnosti.
Često možemo čuti da deca kroz igru ispoljavaju sopstvenu agresivnost. Ovo je nesumnjivo tačno, ali to nije sve. Kada se igraju, deca iskazuju širok raspon emocija koje ne bi bili u stanju da iskažu rečima.
U svojoj knjizi, Donald Vinikot govori o negativnim emocijama ispoljenim kroz igru:
Sva deca osećaju bes i, shodno tome, agresivnost. Ove emocije klasifikuju se kao loše. Dete se može se osećati prljavo, krivo, ako shvati da u sebi ima nešto zlo. Saznanje da se ta osećanja mogu izraziti, u određenim uslovima (na primer kroz igru), bez vređanja bilo koga ili izazivanja nasilja prema sebi, umirujuće je za dete. Saznanje da su određene emocije prihvatljive ublažava osećaj krivice.
Ako se dete ne oseća u potpunosti prihvaćeno, uključujući tu i njegove neizbežne tamne strane, osećaće se prinuđenim da se pretvara, da potiskuje, sakriva, negira sopstvena osećanja, sa strašnim posledicama po njegovu ličnost i po njegovu psihološku ravnotežu .
Kroz igru deca uče da upravljaju mislima i situacijama koje su za njih izvor stresa. Činjenica da mogu da preokrenu situaciju po svojoj želji i da steknu kontrolu (što nije uvek moguće u stvarnosti), daje im mogućnost da obrade i da kontrolišu strah i frustraciju vezane za utisak nemoćnosti. Ovaj aspekat je, po mišljenju Vinikota, veoma važan, jer ako shvatimo da se deca ne igraju samo zbog zabave već i iz mnogo važnijih, ozbiljnijih i dubljih razloga, razumećemo da je nemoguće lišiti ih ove aktivnosti bez izazivanja neugodnosti. Putem igre dete otkriva, stiče iskustva, uči. Igra je očigledan izraz kreativnosti, a kreativnost je osnova samog života. Naš zadatak je da ozbiljno shvatimo igru, priznajući njen značaj i deleći klasične igre sa našom decom, usput se trudeći da ih ne uslovljavamo previše našim intervencijama.
.
Možemo da podstičemo njihova iskustva dajući im materijale i ideje, ali izgleda da je, u ovom smislu, bolje ponuditi premalo nego previše. Deca su, u suštini, u stanju da pronađu zanimljive predmete i da sa velikom lakoćom izmisle igre .
U svojoj knjizi A Good Enough Parent Bruno Betelhajm tvrdi da dete, kroz igru, pokušava da se na neki način izleči, da kompenzuje ono što mu nedostaje. Kada se sa nežnošću brine o svojoj lutki, izražava ono što bi želelo od roditelja. Tukući krpenu lutku, može da ispolji ljubomoru prema mlađem bratu, koja bi potisnuta, postala preveliki teret za dete. Zbog ovog je bitno pokušati razumeti eventualno agresivno ponašanje pre nego što ga označimo kao neprihvatljivo. Ako ovakvo ponašanje omogućava detetu da kanališe previše jake emocije, može se čak pokazati blagotvornim.
Putem igre deca ostvaruju odnose sa drugima. Tako je lako naći prijatelje (ili neprijatelje) kada se igra. Mnogo je teže to ostvariti u nekom drugom kontekstu. Na kraju, iako ne najmanje važno, igra stvara most između tela i duha. Upravo kao mnoge hiljadugodišnje tehnike (pre svega joga) putem kojih mi odrasli pokušavamo da uspostavimo vezu između ova dva entiteta. Igra je veza između unutrašnjeg i spoljašnjeg sveta. Ona je deo deteta, ali ga i prevazilazi. Omogućava mu da komunicira i da se povezuje sa drugima. Putem igre, dete sakuplja predmete i pojave iz spoljašnjeg sveta i obrađuje ih u sopstvenom unutrašnjem svetu.
Vinikot je već u svoje vreme praktikovao ono što danas zovemo terapija kroz igru. Kroz igru terapeut pokušava da komunicira sa detetom. Znajući da ono ne vlada dovoljno jezikom da bi izrazilo suptilne i složene koncepte, terapeut nalazi u igri odgovore na svoja pitanja.
Dobro je imati na umu da je igra već sama po sebi terapija. Dati deci mogućnost da se igraju je oblik psihoterapije, koja će imati momentalne i univerzalno primenljive efekte, počevši od pozitivnog društvenog stava prema igri .
̶Onaj ko se brine o deci treba da bude prisutan tokom igre, što ne znači da treba da se meša. Kada je potreban neko spolja da organizuje igru, znači da dete ili deca nisu u stanju da se igraju na kreativan način .
Međutim, Vinikot se ne zaustavlja na tvrdnji da je igra prava-pravcata terapija. Po njegovom mišljenju, poređenje funkcioniše i u suprotnom smeru. I psihoterapija u njenoj klasičnom smislu bi bila, u suštini, jedna vrsta igre.
̶Ako terapeut nije u stanju da se igra, znači da nije podesan za tu vrstu posla. Ako pacijent nije u stanju da se igra, potrebna je intervencija koja će mu omogućiti da u tome uspe. Tek tada može početi psihoterapija. Razlog zbog kojeg je igra od suštinskog značaja leži u činjenici da kroz nju pacijent uspeva da bude kreativan. […] U igri i samo u igri je pojedinac (odrasla osoba ili dete) u stanju da bude kreativan i da koristi svoju celokupnu ličnost. I samo kroz igru pojedinac otkriva svoje sopstvo .
Po mišljenju Džona Holta (John Holt), koji se smatra osnivačem školovanja kod kuće u Sjedinjenim Američkim Državama, igra, poezija, muzika, gluma i umetnost su različiti načini koje dete koristi za istraživanje sveta. Deca koja znaju da se igraju na kreativan način su ona koja će bolje umeti da uče i da se suočavaju sa iznenađenjima i frustracijama svakodnevnog života.
Moramo se odupreti nagonu da mislimo da je ovaj deo života naše dece [igra] manje bitna od "ozbiljnih" aktivnosti
- čitanja, pisanja, domaćih zadataka ili bilo čega drugog, čime želimo da se bave [... ]. Znati kako da se dobro igramo podjednakoje važno kao umeti dobro da čitamo. Između ostalog, ako pažljivo posmatramo, otkrićemo da deca koja ne umeju da se igraju, sanjaju, maštaju, najčešće nisu najbolji ni u čitanju .
Pored toga, Holt tvrdi da, suprotno od onog što mnogi veruju, mašta ne čini da se dete udalji od stvarnog sveta. Naprotiv, u igrama fantazije (barem dotle dokle je dete slobodno od uslovljavanja koje nameću TV i video-igre) dece oponaša svakodnevne radnje, svojih roditelja, prijatelja i rođaka, kao i doživljena iskustva, najčešće prelazeći iz uloge gledaoca u ulogu junaka.
U knjizi How Children Learn Holt poredi stvarnost sa slagalicom od koje deca poseduju samo ograničeni broj delića. Sa toliko malo delova, odrasla osoba ne bi ni pokušala da sastavi slagalicu. Dete, pak, obdareno radoznalošću, odlučnošću, energijom i, naročito, strpljenjem, pokušava nemoguću misiju. Da bi popunilo prazna mesta, koristi maštu. Usled ovog slika sveta nije verna, ali se radi o potrazi sa stvarnošću, ne o bežanju od nje.
Priča je, naravno, drugačija ako se dete, zbog traumatičnog iskustva, povuče u imaginarni svet u kojem se oseća sigurnim.
Igrati se znači posvetiti se jednoj aktivnosti u cilju zabave i izvlačenja zadovoljstva iz nje. Cilj igre je ona sama: dete se igra da bi se igralo. Ako usput nešto nauči, radi se o kolateralnom efektu, a ne osnovnom cilju igre, što ne znači da igra ne omogućava detetu da otkrije različite stvari. Kroz ovu aktivnost koja traje kroz generacije, dete uči pravila, običaje i vrednosti okruženja u kojem živi. Dete otkriva sebe samo i svet u kojem živi .
Štaviše, kroz igru dete otkriva zadovoljstvo u učenju. Ova vizija će mu biti od koristi tokom celog života i omogućiće mu da postane otvorena i radoznala osoba, željna otkrivanja, isprobavanja, sticanja novih saznanja. To će nesumnjivo biti neprocenjiv dar tokom godina školovanja. Kroz igru dete, takođe, uči mnoge logičke koncepte koji bi, da se sa njima suočilo na drugi način, bili previše složeni za njega.
Kada se igra, dete preuzima kontrolu nad situacijom. Oseća se sposobnim i kompetentnim, što je za dete izvor zadovoljstva i doprinosi
jačanju njegovog samopoštovanja. Međutim, igra isto tako omogućava da se iskusi poraz u kontekstu u kojem će njegove posledice biti minimalne. Kada se kula sruši, dete može biti razočarano i naučiće da se suočava sa frustracijom u jednom zaštićenom kontekstu. Zatim će slobodno odlučiti da li da ponovo započne istu igru ili da pređe na neku drugu aktivnost.
Igra je, takođe, jedan od oblika komunikacije. Dodeljujući različitim junacima različite emocije, dete izražava sopstvena osećanja. To je za njega jedan od načina da se izrazi i da podeli ono što oseća. Između ostalog, moguće je da dete, igrajući se, priča samo sa sobom. Ovo je za dete prilika da vežba govorne sposobnosti, objašnjavajući svojim igračkama to što upravo radi i što se dešava. Ta govorna vežba pomaže u usvajanju novih termina. Učenje jezika na ovaj način postaje brže i zadobija ludičke konotacije.
Igra je, takođe, prvi korak ka socijalizaciji. Dete uči da deli, komunicira, poštuje pravila, da čeka sopstveni red. Igranje je ozbiljna stvar. Kada prekinete dete dok se igra zato što je vreme da se ide napolje ili da se sedne za sto, ne pridajete dovoljno važnosti njegovoj aktivnosti. To je kao kada bi vas neko prekinuo dok radite. Moguće je pokazati poštovanje za detetove aktivnosti bez gubljenja autoriteta. Dovoljno je pripremiti ga malo unapred, kako bi moglo da se organizuje na odgovarajući način.
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Serbian native speaker, obtained a PhD degree in Modern Languages and Literature from the University of Venice. I have lived in Italy since 2013 and I have worked both for Serbian and Italian clients. I have experience in translating technical documents, advertising material, business correspondance, as well as in dialogue interpreting. However, literature remains always my greatest passion and I am looking forward to having new experience especially in this field.
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