A grande richiesta, mi accingo a condividere con voi un articolo che spero possa fare chiarezza su un tema che mi viene frequentemente sollecitato: la traduzione dall’arabo. Colleghi, amici, parenti e conoscenti mi pongono sempre domande in merito e, a ragion veduta, credo sia giunto il momento di approfondire alcuni aspetti fondamentali.
Cominciamo con una prima, semplice ma essenziale, differenza: l’arabo si scrive e legge da destra a sinistra. Contrariamente a quanto si possa pensare, l'apprendimento di questa lingua non mi è stato particolarmente arduo, principalmente per il fatto che gli arabi utilizzano un alfabeto fonetico, non ideogrammi. Non manco mai di sottolineare come, durante un corso di scrittura, abbia affinato una grafia che trovo piacevole e funzionale.
L’arabo è una lingua semitica, e come tale ha una sintassi che si discosta enormemente dalle lingue europee. Con dieci forme verbali e tre casi grammaticali, la struttura delle frasi è spesso priva del verbo "essere", risultando in una costruzione nominale con un soggetto e un predicato. Una configurazione completamente diversa da quella a cui siamo abituati.
Ma, entrando nel merito della traduzione, è fondamentale evidenziare un aspetto cruciale. Il Modern Standard Arabic, pur essendo la lingua ufficiale in ambito giornalistico, accademico e istituzionale, riflette spesso l’impronta personale di chi scrive. Questo è particolarmente evidente in testi giuridici, come sentenze o atti legali: ogni redattore, che sia un giudice o un avvocato, imprimerà un proprio stile distintivo. La sintassi araba, infatti, è più libera rispetto all'italiano, e l’influenza delle varie tradizioni nazionali – marocchina, siriana, egiziana, saudita – è più che evidente. Non si tratta di dialetti, ma di vere e proprie varianti regionali, soprattutto in ambito giuridico. Arabia Saudita e Tunisia, per esempio, sono ricche di termini giuridici unici.
Di fronte a questo scenario, quali scelte deve fare il traduttore? Innanzitutto, deve avere una chiara consapevolezza del contesto geografico e culturale di riferimento. Le traduzioni letterali sono da evitare con estrema attenzione. Il compito è quello di trasmettere il messaggio in maniera che tenga conto degli aspetti culturali e linguistici propri del testo sorgente, ma che risulti comprensibile e funzionale nella lingua di arrivo. In molti casi, la parafrasi si rivela indispensabile, specialmente in contesti giuridici o nei testi religiosi o di interpretazione.
A volte, l’inclusione di note del traduttore risulta fondamentale. L’obiettivo primario deve essere ridurre al minimo la “perdita” traduttiva derivante dalle differenze geografiche e culturali. Recentemente, ad esempio, ho inviato al mio cliente un file separato con annotazioni su edilizia, giurisprudenza e geografia, aspetti fondamentali per il corretto inquadramento del testo tradotto.
Non posso sottolineare abbastanza quanto sia essenziale utilizzare glossari settoriali e per Paese. Dizionari specialistici come il Khatib o lo Chaiban sono imprescindibili per ogni traduttore professionista. Nella mia libreria non mancano mai, e ho anche realizzato un glossario personale con circa 12.000 termini specifici per oltre 50 settori.
Con queste premesse, il traduttore può finalmente dare forma al testo in modo che risulti scorrevole e comprensibile nella lingua di arrivo, ma senza mai sacrificare l’integrità del contenuto originario, che può essere permeato da una sintassi o una cultura diversa dalla nostra.
Spero che queste informazioni vi siano state utili. Vi invito a commentare, osservare e fare domande. Resto a disposizione per ogni approfondimento.
Vincenzo Di Maso
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